Le testimonianze

In questa pagina si raccolgono alcune delle testimonianze scritte, di personaggi noti che hanno conosciuto Werner von der Schulenburg.

Amleto Pedroli

Il libro di Amleto Pedroli "I Maghi del Nord" Ed. Dadò 1992, è un'antologia con traduzioni commentate di saggi e altri scritti dei seguenti scrittori: von Kleist, von Schefell, Hauptmann, Hesse, Kafka, Emmy Ball-Hennings, Ludwig, Seewald, Glauser, Rilke e Bergengruen, riferiti a momenti ticinesi.

Vi è un passaggio tratto da Federico Glauser in riferimento alla galleria Dada:

"Prima di mostrarla (la galleria) in tutta la sua gloria e nella sua semplicità, devo lasciar entrare sul mio palcoscenico la figura di uno statista che col suo peso può imporsi su tutti. Questa figura si mette in primo piano perchè desidera ardentemente essere il protagonista. Il suo importuno borbottio rompe il silenzio più profondo e le sue esclamazioni pesanti disturbano i discorsi più discreti. Il dott. Phil. Conte Werner von der Sch.(6) è un poligrafo, storico dell'arte, e ha scritto, su un ritratto sconosciuto di Dante "un saggio molto apprezzato dagli specialisti". Ha pubblicato romanzi nei quali "la profondità del pensiero tedesco si unisce all'esprit francese". Prima della guerra ha collaborato al "zukunft" (7) di Harden e questo lo ha allontanato dalla sua famiglia legata alla cerchia dell'imperatore. Partecipò alla guerra, fu gravemente ferito ed è stato attachè e guida di principi stranieri. Ha molti aneddoti da raccontare, è sempre attivo e trova anche il tempo di provare se la figura di Don Giovanni sia veramente tragica, come vogliono alcuni pensatori. Ma in quanto uomo di oggi e legato alla realtà, il conte tratta questo tema secondo i moderni metodi: cartoteca, classificatore, diario e libro mastro. L'attivo ed il passivo della sua attività amatoria sono tenuti costantemente aggiornati. Spetta alla favorita di turno di tenere la registrazione, di copiare le risposte. Bisogna renderne conto alla posterità."

Note a piè di pagina:

Luciana Frassati Gawronska

Dal libro di Luciana Frassati "Il destino passa per Varsavia" ed. Bompiani,1985
Pag. 239

Il destino, così di solito chiamato dagli uomini, ma che per me è la mano della Provvidenza, ha senza dubbio sempre guidato i miei propostiti e i miei passi, sebbene nella loro bella recensione del luglio 1952 i prestigiosi Frankfurter Heften si siano dimostrati scettici:

Misterioso resta il motivo per cui la Gestapo così rigorosamente operante, abbia permesso alla signora Gawronska di viaggiare indisturbata dalla Polonia occupata in Italia, di qui in Francia, presso il governo esiliato di Sikorski, e poi di nuovo in Polonia. Non può certo sfuggire l'impressione che, sotto sotto, si celi qualcosa di interesse molto maggiore di quello suscitato dai racconti assai travolgenti, che l'autrice di spirito vivace e di intelligente modo di vivere ha voluto rivelare.

Il mistero non esiste affatto e, pur comprendendo tali sospetti, devo respingerli e riprendere la narrazione che aiuterà a dissolvere ogni dubbio. Al principio del 1943, mi ero recata in via del Corso, a Roma, negli uffici turistici elvetici per combinare un viaggio in Svizzera poichè desideravo, prima di riprendere la mia consueta vita, visitare un campo di internati polacchi. Conobbi così, per mezzo di Diana Azzariti, il barone Werner von der Schulenburg, cugino dell'ex ambasciatore tedesco a Mosca. Mi parve altissimo, addirittura colossale, rapato, con occhi duri e acuti nascosti da spesse lenti da miope. Entrammo subito in sintonia e cominciammo a frequentarci: con toni appassionati, egli m'intratteneva sull'arte tedesca, sulle proprie traduzioni delle opere di Mussolini e di Forzano. Non posso però dire d'aver avuto subito fiducia in lui, sebbene ne provassi indiscussa per Diana. L'esperienza m'induceva a diffidare di un tedesco conosciuto appena, il quale mostrava tanto interesse per me e per il mio prossimo ritorno in Germania. Non lo approvava, ma più sorprendente era il comportamento della rappresentanza polacca a Berna che rifiutava di prorogarmi il passaporto diplomatico; dovetti perciò ricorrere a Sikorski da cui abbi completa soddisfazione. Si era ai primi di aprile 1943, ma solamente anni dopo, resa perfettamente edotta del rischio di cui allora stavo per espormi, potei sapere direttamente da Schulenburg il motivo del suo ostinato opporsi al mio viaggio:

Locarno-Minusio, 21 maggio 1948

Cara amica,
la Sua lettera del 1° maggio è giunta oggi nelle mie mani tramite il dott. Locher. Sono immensamente felice di aver Sue notizie perchè non sapevo se Lei avesse superato il terribile pericolo in cui allora si trovava, o se all'ultimo momento, non l'avessero uccisa. Non può immaginare quale grande gioia mi abbia procurato la Sua lettera di oggi.

Lei vuole sapere come fossi a conoscenza delle manovre che contro di Lei si tramavano a Berlino. Io ero a Roma come rappresentante del movimento segreto antinazista e lavoravo in collaborazione con l'ambasciatore Ulrich von Hassel insieme a mio cugino, l'ambasciatore Schulenburg. Nei quaderni di von Hassel, ora stampati, Lei può trovare una parte della mia attività di allora: mio compito era il collegamento con l'estero e il nuovo governo doveva nominarmi ambasciatore.

Pochi giorni dopo averLa conosciuta, mi trovavo a un ricevimento all'Ambasciata tedesca in Roma. Dietro a me sedevano tre membri della Gestapo di Berlino che bevevano birra scura e che parlottavano. In quel momento stavo discorrendo con una signora, ma contemporaneamente seguivo le parole che i tre si scambiavano. Così cadde il Suo nome. Uno dei tre diceva: "Ah, Lucia Frassati, quella la conosciamo da Vienna." Poi tutti e tre sghignazzarono e, a mezza voce, uno affermò: "Basta questo allora per un Frassati-Frikassé."

Mi fu chiaro così che qualcosa di tremendo si stava preparando e La cercai il giorno dopo. In quella occasione Lei mi raccontò che doveva partire per la Polonia e che un generale tedesco avrebbe pensato alla Sua sicurezza. Compresi ch'Ella non conosceva la situazione, perchè nessun generale avrebbe potuto fare nulla contro la Gestapo. La pregai con insistenza di non partire e mandai la stessa sera, attraverso un soldato di fiducia, una lettera a mio cugino il conte Schulenburg, pregandolo di controllare mediante una persona sicura il Suo 'dossier" alla Gestapo. Dopo tre giorni, avevo la risposta: "Fà che L. non si muova per nessuna ragione. C'è pronto F 3. Si ritiene ch'ella conosca dati concernenti la politica Roma-Vienna-Varsavia." La lettera mi è stata sottratta dall'editore Piper di Monaco insieme con altri preziosi documenti.In essa questa frase era aggiunta ad altre notizie riguardanti la nostra famiglia. F 3 indica la tortura di terzo grado che nessuna persona è riuscita mai a superare. Ai parenti si sarebbe data la notizia che Lei era morta in un incidente automobilistico. Era nell'intenzione della Gestapo venire in possesso di notizie politiche particolari sulle relazioni di Mussolini con la Polonia delle quali Lei doveva essere certamente al corrente.

Ora immagini il mio stato d'animo: mi trovavo in possesso di questa lettera, ma non potevo, per nessuna ragione, farLe sapere né la fonte, né l'esatto testo dell'avvertimento. Lei avrebbe potuto nella Sua eccitazione parlarne con qualcuno e allora sarebbe definitivamente caduta la mia testa già non bene attaccata al collo. D'altra parte la conoscenza di questa minaccia avrebbe avvelenato tutta la Sua vita. Così cominciai ad annoiarLa in maniera ossessionante con continui avvertimenti fino a che non Le dissi due volte che esigevo, prima che partisse per la Polonia, la dichiarazione scritta che l'avevo prevenuta contro quel viaggio. Allora Ella divenne sospettosa e per fortuna non partì. Avremmo certamente provato a farLa arrestare subito dal nostro ministero per toglierLa dalle mani della Gestapo; ma molti casi simili hanno dimostrato l'inutilità di questi interventi. Lei ringrazi così la Sua intelligenza che seppe comprendere al primo allarme, se non è morta di una morte terribile. Le voglio raccontare un altro interessante fatto. Due signori d'un Sonderkommando di Goering vennero a trovarmi in ufficio. Alla domanda se conoscevo Lei, risposi: "Sì". Al che i due mi dissero che Lei aveva in casa molte opere d'arte salvate da castelli polacchi; questi quadri appartenevano al Reich e dovevano essere riportati via nel sacco di Roma. Seppi così che era stata decisa una razzia di opere d'arte nella capitale. "Che cosa devo fare in casa Frassati?" chiesi. Mi fu risposto che avrei dovuto essere presente e sotto giuramento dichiarare se altre opere d'arte nel frattempo non fossero state nascoste. Protestai di essere dottore in Storia dell'Arte e di non aver voglia di farmi criticare. "Conosco benissimo quei quadri: sono tutti imitazioni e copie molto posteriori. A Berlino con una simile testimonianza vi riderebbero in faccia. Non ho nessuna voglia di essere unito a voi in questa ridicolaggine!" I due si mostrarono perplessi e pretesero da me una dichiarazione ufficiale di quanto affermavo. Firmai questa carta senza rimorsi di coscienza e sono felice ancora oggi di averlo fatto.

Con questo termino la mia lettera e La prego di considerarmi a Sua disposizione per qualsiasi altra cosa in cui potessi esserLe utile. Sono lieto che Lei sia ancora tra i vivi e La prego di ricevere i miei più cordiali saluti.

Werner von der Schulenburg

E ora la mia versione. Nella primavera del 1943, non affatto convinta della sua schiettezza, volli tentare un'ultima prova, quella di chiedere il visto all'ambasciata tedesca: l'ottenni subito, contrariamente al solito. Era il 5 giugno e, quasi per sfida, mi affrettai a presentarlo al barone, il quale esasperato sbottò: "Benedetta figliola, che pretende di più? I miei ufficiali hanno visto il Suo 'dossier' alla Gestapo!" Intuii l'enorme valore della confessione sfuggitagli, ma l'amico troncò il discorso. Come poteva un esponente dell'Istituto di Cultura, incaricato di dirigere la rivista Italien, parlare dei "suoi ufficiali" e alludere ai loro rapporti scritti? L'accenno avrebbe potuto costargli caro se non fosse stato fatto a persona fidata. Mi mancò perfino la forza di ringraziarlo e da quel momento rinunciai all'idea di ritornare in Polonia, caddero tutte le mie vanterie sull'appoggio di un fantomatico generale tedesco, si dissolse il dubbio che Schulenburg, dimostratosi oramai un prezioso amico, agisse nei miei confronti con scopi segreti.

La stella di Mussolini era vicina ormai al tramonto, e la Gestapo, che forse non mi aveva mai perduta d'occhio, intensificò la sorveglianza. Si comprende, perciò, la reazione di uno spirito liberale come quello del barone, proprio di chi avrebbe partecipato, il 20 luglio 1944, con von Hassel, alla congiura antihitleriana. Quattordici furono gli Schulenburg eliminati: l'ambasciatore venne impiccato con lo spaventoso metodo dell'altalena dal suolo; cadde pure von Hassel, lasciando quei pochi quaderni stampati pericolosi anche per l'amico barone. Questi, lo stesso giorno della mia visita a Locarno, il 27 maggio 1948, aveva offerto a me, autonominatami macabramente F 3, un brano delle sue memorie e interessante, significativa e anche benedetta mi apparve la seguente sua dichiarazione.

Sono di una vecchia famiglia protestante, ho grande attrattiva per la chiesa cattolica da me considerata importante dal lato sociale e culturale, ma non penserei mai di abiurare e devo dire che lo "spirito" a me vicino non si preoccupava affatto della mia fede. E ora spiego. Conscio delle trame ordite contro di lei e messe ben in luce in un mio scritto, studiavo molto preoccupato il da farsi. Passando davanti al San Carlino del Borromini, chiesa vicina alle Quattro Fontane, pensai di entrarvi attratto, come sempre, dalla splendida architettura. Recitando, da buon protestante, le mie preghiere, ebbi l'impressione di avere, alla mia sinistra, qualcuno inginocchiato; si trattava certamente di un essere incorporeo, in quanto non vedevo nessuno. Mi rivolsi allora a quell' "eterea" presenza allo sopo di conoscere il modo di agire e mi sembrò di sentirla insistere ond'io non mi lasciai assalire da debolezze.

Svelai allora il piano da me concepito alla mia segretaria Erna Kraft e scrissi, come le è ben noto, a mio cugino a Berlino. Si trattava, però, anche di convincere lei a rinunciare al viaggio. Può immaginare, quindi, con quali pensieri l'avvicinai: era sempre decisa a ripartire, mentre "lo spirito" a me vicino mi spingeva a non desistere. Ma quanto più cercavo di obbedirgli, continuando imperterrito la mia opera, tanto più ella, quasi per dispetto, prendeva alla leggera i miei consigli; non mi arrendevo, tuttavia (i protestanti non capirebbero il mio stato d'animo), anche se "ein wilder sport bei Ihnen eingetreten war" (la dominava un selvaggio sport). Il mio orgoglio era ferito e non so dodnde traessi tanta umiltà da ritornare alla carica, pur essendo fuori dalla grazia di Dio.

Provai a ricordare la storia dell'Egmont di Goethe e il vano avviso di pericolo al duca di Oranien, il quale quando venne arrestato gridò: "Egmont, Egmont", augurandomi che lei un giorno non dovesse invocare: "Schulenburg, Schulenburg!". La sua reazione fu straordinaria, ma davvero deludente: dimostrò un sommo interesse per Goethe e chiamò a raccolta le figlie onde risentissero la storia, ma non apparve affatto turbata dal mio povero discorso. Uscii costernato da piazza Città Leonina, dove ero stato ospite per alcuni splendidi giorni e, passando davanti alla Sapienza vi entrai per chiarire le mie idee. La solita voce, assillante come sempre, m'incitava a continuare e fu allora che decisi di pregarla onde mettesse per iscritto che l'avevo ammonita di non partire. Quando più tardi, cacciato da Roma, mi rifugiai a Venezia, avvertito dal nostro console dovetti fuggire in seguito alla denuncia della contessa E…, napoletana di nascita, ben nota all'ottima mia amica Pia di Valmarana. Valicai le montagne e "lo spirito" benevolo mi accompagnò, confortandomi sempre; m'incuteva coraggio, sussurrandomi quasi che dovevo solo pazientare per qualche ora e m'indicava la via giusta, quando sembravo incerto su quella da seguire. Giunto a Badgastein respirai, e nella piccola casa di Diana Azzariti ebbi la notizia dell'attentato a Hitler. La signora Obereigner mi chiamò al piano inferiore per comunicarmi: "Lo hanno ucciso". Con entusiasmo gridai ad alta voce: "Gott sei Dank!" (Dio sia benedetto!). Ciò significava la riuscita del nostro complotto, ma nella stanza attigua era seduta la moglie del capo delle ss della città e in quel momento sentii come un soffio caldo che mi fece esclamare: "Dio sia ringraziato, ora ci resta Himmler!" Non esito ad attribuire l'intervento allo spirito di Suo fratello per il quale nutro una profonda venerazione: non mi abbandonò finché mi trovai in pericolo e, forse, solo per merito Suo posso oggi, a distanza di anni, ricordare la stupenda emozione vissuta.

Schulenburg era tutt'altro che una donnetta isterica, perciò considero valida e sorprendente la sua vicenda. Egli aveva, il 2 gennaio 1930, ricevuto da Hitler una lettera di amicizia e di stima che, utilizzata accortamente dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo, avrebbe potuto procurargli cariche ed onori. Rinunciò invece, sin da principio, a ogni legame con il Terzo Reich, mantenendo l'amicizia con Edgar Jung, il noto e brillante giurista che accompagnò von Papen a Roma per la conclusione del Concordato con la Santa Sede (avvenuto il 20 luglio 1933) e assassinato un anno dopo da Hitler. Tre tedeschi: l'ex cancelliere, l'ambasciatore von Hassel e Schulenburg condividevano tutti le stesse idee.

A Locarno il mio amico disse di ritenere che il duce fosse stato al corrente della congiura del 1944. A indiretta conferma della sua ipotesi, citava la significativa dedica che Mussolini aveva apposto a una sua fotografia: "Al traduttore, non traditore." Più o meno nello stesso periodo, prospettandosi l'arresto di Schulenburg da parte della Gestapo, Mussolini lo aveva nominato commendatore della Corona d'Italia, pensando forse di rendere così vane, per il timore di uno scandalo, le mire tedesche.

Ulrich von Hassel

Diario segreto 1938-1944
Rizzoli Editore 1948
Pag. 174

3-2-42 Berlino
Dopo incidenti di viaggio connessi ai tempi che viviamo, a seguito di gravi mutamenti d’orario, ecc., sono arrivato a Berlino. Ho fatto colazione all’Adlon con Werner Schulenburg proveniente da Roma. Le solite impressioni dall’Italia, amare doglianze sulla meschinità di spirito e sul carattere caporalesco del mio successore [Meckensen]. Interessante un lungo colloquio di Schulenburg col papa, il quale ha deplorato vivacemente il mio allontanamento. Pacelli ama senza dubbio ancor oggi la Germania e vorrebbe che sussistesse qualche forte potenza morale. Beninteso non nella forma odierna. Ho riferito sul mio viaggio a Geissler [Popitz], Nordmann [Jessen], Geibel [Beck] e Otto [Planck].

Alessandro Pavolini

Werner von der Schulenburg è un letterato ed un artista ben noto in Italia, attraverso la comunicativa simpatia della sua persona, presente con frequenza, a Roma ed in altre parti della Penisola; è tempo che lo si conosca anche attraverso la sua opera.

Fra lo spirito germanico e l'italiano, il Nostro è uno dei mediatori più costanti e sensibili. Vivono ed operano in lui la parentela, delle due grandi culture, l'affinità delle due moderne Rivoluzioni. Alle iniziative d'ordine pratico con cui egli contribuisce al felice rinsaldarsi dei legami culturali italo-tedeschi, fa riscontro la sua molteplice, attenta, squisita opera di introduzione di autori italiani presso i lettori germanici. “Traduttore non traditore” lo chiamò Mussolini in una dedica, dopo la versione tedesca d'una sua opera.

Tratto dalla prefazione al libro “Terra sotto l’arcobaleno”